Biografia
Primo Levi, scrittore e testimone dell’orrore delle deportazioni naziste, nasce a Torino il 31 luglio del 1919, in una famiglia agiata di origine ebraica.
Frequenta il liceo classico D’Azeglio a Torino e dimostra subito interesse per la biologia e per la chimica. Si diploma nel 1937 e decide di iscriversi al corso di laurea in Chimica all’Università di Torino. Nel 1938 il governo fascista emana le prime leggi razziali. Tra queste, una vieta agli ebrei di frequentare le scuole pubbliche, ma consente di proseguire gli studi a chi è già iscritto. Levi è in regola con gli esami e può continuare, ma ha difficoltà a trovare un relatore per la tesi. Nel luglio del 1941 si laurea a pieni voti e con lode, ma con una tesi in fisica. Il diploma di laurea riporta l’espressione: «Primo Levi, di razza ebraica».
Dopo la laurea, Levi trova un impiego semi legale in un laboratorio chimico presso una cava d’amianto. Nel 1942 lavora a Milano, in una fabbrica di medicinali.
Nel 1943 i tedeschi occupano il Nord e il Centro Italia. Levi si unisce ad un gruppo partigiano in Valle d’Aosta, ma il 13 dicembre è catturato a Brusson e poi trasferito al campo di raccolta di Fossoli. A febbraio i tedeschi prendono in gestione il campo e avviano tutti i prigionieri ad Auschwitz.
Levi raggiunge Auschwitz in treno dopo cinque giorni di viaggio con altre 49 persone: è il 22 febbraio 1944: questa data segnerà drammaticamente il confine tra un “prima” e un “dopo” nella vita dello scrittore.
I tedeschi rasano, disinfettano e marchiano come bestie i prigionieri. Li obbligano a vestire pantaloni e giacca a righe.
Su ogni casacca c’è un numero cucito sul petto: dietro questo numero non c’è più un uomo, ma solo un oggetto.
Levi riesce a sopravvivere grazie alla propria laurea in chimica che gli permette di essere destinato in qualità di “specialista” all’interno di una fabbrica di gomma, dopo aver superato alcuni test. Questo gli consentirà di poter sopravvivere e di salvarsi anche dagli effetti del clima rigido perché la fabbrica era riscaldata. Levi non si ammalerà durante la sua prigionia ma contrae la scarlattina solo nel gennaio 1945 quando la liberazione ormai è vicina. Nel gennaio 1945, infatti, i tedeschi decidono di evacuare i campi di concentramento e cercano di nascondere ciò che avrebbe potuto documentare l’accaduto. Così le SS abbandonano il Lager, trascinando con loro tutti i prigionieri in grado di affrontare una lunga marcia, lasciando invece al loro destino ottocento internati, affetti da malattia e quindi non in grado di muoversi, tra cui anche Primo Levi.
Levi torna in Italia dopo un lungo girovagare nei Paesi dell’Est europeo.
A Torino, Levi si riprende fisicamente e ritrova i familiari e gli amici sopravvissuti. Si trasferisce a Milano per lavorare in una fabbrica di vernici.
Ben presto, però, sente il dovere di raccontare l’orrore vissuto: tutti devono sapere, tutti devono domandarsi “perché”: Levi comincia allora a scrivere il suo romanzo-testimonianza, “Se questo è un uomo”.
Primo Levi finisce di scrivere il romanzo nel 1947, ma Einaudi e molti altri editori lo rifiutano.
Nel periodo seguente, Levi torna a lavorare come chimico ed abbandona la scrittura.
Nel 1956 partecipa ad una mostra sulla deportazione e a numerosi incontri nelle scuole. Levi ripropone quindi “Se questo è un uomo” ad Einaudi che decide di pubblicarlo. La nuova edizione ottiene un successo immediato.
Nel 1978 pubblica “La chiave a stella” che vince il Premio Strega. Nel 1981 pubblica “Lilìt e altri racconti” e l’anno successivo “Se non ora quando?” che vince il Premio Viareggio e il Premio Campiello.
Nell’ottobre del 1984 esce “Ad ora incerta” e a dicembre “Dialogo”, in cui riporta una conversazione con il fisico Tullio Regge.
Contemporaneamente Levi lavora come traduttore.
Nel 1986 pubblica “I sommersi e i salvati” e torna così, per l’ultima volta, sul tema dell’Olocausto.
L’11 aprile del 1987 Primo Levi muore nella propria casa di Torino.
Daniel N.- Lorenzo T.-3MATB-A.S. 2021-2022