” Il Vino e l’ Acqua “

da | Apr 21, 2022 | La Chiave a Stella | 0 commenti

In occasione di una trasferta, Faussone si trovava, sul basso Volga insieme al chimico Primo Levi. Questi gli propone di andare alla stazione fluviale e scendere il corso del fiume. Inaspettatamente, il montatore piemontese, accetta. 

Era una domenica di fine settembre, la foresteria era inabitabile, avevano installato in tutte le camere dei ventilatori rumorosi  che non servivano a niente,  fatti solo per il ricambio dell’aria. Si trovavano presso una diga, costruita sette anni prima a monte del fiume. Così si diressero verso la stazione fluviale, costituita da due corpi, uno in muratura e l’altro in tavole di legno, sostanzialmente una grande zattera sull’acqua, collocata su un pontile, dove non c’era nessuno. Stavano guardando gli orari per i battelli ma scoprirono, grazie ad una vecchina, che il battello era in funzione, ma l’orario non era più valido. Fortunatamente la vecchina era anche la bigliettaia, potevano fare i biglietti da lei se volevano fare una gita nel fiume. 

E così fecero.

Presero un battello e dissero di voler tornare in serata, la gita nel fiume era perfetta per loro! 

Si avviarono verso lo zatterone che era deserto, ma poco dopo si avvicinò un ragazzo russo. Faussone non lo riconobbe immediatamente, ma era uno dei manovali che lo aveva aiutato a costruire la gru sei anni prima. Il giovane era felice come avesse incontrato un fratello, disse che sarebbero stati suoi ospiti: era  il suo compleanno e l’avrebbero festeggiato sul battello. 

C’erano anche altri due suoi compaesani dall’aspetto poco rassicurante, con due facce patibolari, uno era obeso mentre l’altro, più magro, aveva la faccia butterata dal vaiolo. Sul volto di Faussone apparve un’espressione non convinta, infatti bisbigliò:   “ Qui si mette male…”.  Il ragazzo russo, il cui nome tradotto in italiano suonava come “Differenza”, presentò gli italiani. Immediatamente Levi e Faussone scoprirono di “dover” finire tutte le riserve di vino che avevano portato per il viaggio d’andata fino a Dubrovka. A nulla valsero le scuse. Differenza aveva sfoderato una convivialità compulsiva. Più si andava avanti con il bere, più le gambe di Levi incominciarono ad indebolirsi, a mala pena si  reggeva in piedi, inoltre gli si restringeva il campo visivo. Una volta arrivati a destinazione tirava un vento fresco, con odore di fieno , e da lì le cose cominciarono a migliorare. Passarono la giornata a casa di un signore anziano, amico dei giovani incontrati sul battello, che offrì loro del cibo. Faussone per non sembrare scortese assaggiò, ma la padrona di casa li accusò, perché mangiavano “male”, cioè poco. Verso le quattro il battello era in partenza per il ritorno. Qui trovarono a bordo un altro russo, che notando la presenza di italiani, fece visitare tutta l’imbarcazione da prua a poppa. Cominciò a fare caldo, mentre gli altri dormivano, Levi comunicò a Faussone che al ritorno, in una spiaggia isolata  avrebbero potuto farsi un bagno anche loro. Faussone ricordò a Levi di non saper nuotare, glielo aveva già detto in passato. Non aveva mai vinto la paura. Incalzato dal compagno, iniziò a raccontare della volta che aveva provato ad imparare, in occasione di una trasferta in Calabria: lì si era messo in mente che fosse l’occasione giusta per imparare, nessuno l’avrebbe preso in giro, in una bella spiaggetta isolata. “La prima volta era la morte”, racconta, “non era una paura, era un orrore”, prosegue, e “gli veniva quasi voglia di ringraziare il Padreterno, perché aveva separato le acque dalla terra”. L’apprendistato proseguì così, rassegnandosi a nuotare solo di schiena. Poi accadde un fatto inimmaginabile. Nella spiaggetta dove stazionava, notò una macchia non vista i giorni precedenti. Era piovuto. La  macchia era presente solo in quella parte del pilone. Poi vide una crepa con una processione di formiche che entravano ed uscivano dalla fessura. La curiosità era tanta…prese  un sasso e colpì il pilone, sfondando il cemento. Agli occhi di Faussone apparve la testa di un morto.

Subito dopo questo terribile episodio, il montatore piemontese accusò una malattia psicosomatica; attorno alla vita croste che non se ne andavano mai. Fu la giustificazione per tornare a casa. Così Faussone chiuse per sempre con il nuoto: ogni volta che entrava in acqua, brutti pensieri lo assalivano.

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